Fin da quando
avevo 12 anni, ho avuto sempre un amore, passione, ed ossessione con l’Italia e
l’italiano. Il mio primo ricordo di un’interazione con degli italiani fu quando
avevo sei anni. In quell’epoca abitavamo a Rexburg, in Idaho. Mia mamma si
prenotava ogni anno per ospitare una squadra di un paese per la Festivale dei
Balli Folkloristici che si faceva ogni anno a Rexburg. A volte erano africani,
a volte tongani, a volte messicani, ecc. Quando avevo sei anni, ospitammo la
squadra italiana. Venivano da Siena o da qualche altra città toscana, e avevano
le bandiere tipiche che lanciavano nell’aria e giravano. Mi ricordo di esser
stato molto curioso mentre sentivo mia mamma comunicare con queste persone che
parlavano una forma molto strana dello spagnolo. "¿Necesitan algo?" diceva mia
mamma. "Sì. Mi scusi, signora, ma dov’è il bagno?" diceva uno. Mia mamma
rispondeva "el baño está ahí." Io pensavo a me stesso, "chi gli ha insegnato a
parlare questi? Tutti sanno che si dice ‘¿dónde está el baño?’, non ‘dov’è il
bagno.’" Mia mamma mi spiegò che venivano da un paese molto lontano, "Skittle-ya" o qualcosa così, che era il paese del Abuelo Juan Carlos in
Argentina.
Quando avevo 12 anni, cominciai per
la prima volta a leggere il Libro di Mormon in italiano, insieme al mio amico
italo-argentino, Dante Frassa. Nella mia adolescenza, ogni volta che vedevo
qualche film in cui c’era un italiano, come Pappa Iaccavetta in Boondock
Saints, impazzivo. C’era una canzone italiana, "L’Amore" da Sonohra, che
ascoltavo quasi ogni giorno, sforzandomi di capire. La cantavo lo stesso,
perché l’avevo memorizzata, anche se non capivo tutte le parole. In quel
periodo, Kerry mi insegnò tutto l’italiano che conosceva dalla sua carriera di
cantante di opera lirica. Conobbi un siciliano che lavorava in una pizzeria a
Bountiful, vicino al tempio, e convinsi a mia mamma di pagarlo per delle
lezioni per me. Studiai con lui per 6 mesi più o meno, poi decisi che volevo
andare in Italia per imparare la lingua prima della missione. Non sapevo perché,
ma sentivo che dovevo imparare la lingua quanto potevo prima della missione.
Mandai delle lettere e degli email ai vescovi di Siena, Firenze, ed Ostia,
chiedendo se conoscevano qualche membro che vorrebbe o accettare del pagamento
monetario per ospitarmi, o fare un cambio di figli, di mandare il loro figlio a
vivere da noi mentre andavo io là. Nessuno dei vescovi rispose, quindi
continuai a studiare da solo. Quando ricevetti la chiamata della missione, e
vidi "La Missione Italiana di Roma", non ero nemmeno sorpreso. Dentro di me,
sentivo "ma certo! Ovviamente vado in Italia. Lo sapevo sempre."
Durante la missione, godevo
immensamente l’esperienza di vedere tutte le similarità fra la cultura
argentina e la cultura italiana, e a vedere come "los tanos" influenzarono la
cultura porteña. Tutte le frasi come "andiamo", "naso", "gamba", "mafangulo",
"piano piano", e "dale con tutti" che dicono sempre i porteños, tutto il cibo,
le pratiche culturali, che portarono a Buenos Aires. Mi sentivo proprio a casa
in Italia, come se fosse un’estensione della cultura con cui sono cresciuto,
una nuova parte da esplorare di una cosa che sempre conoscevo. E’ stata un’esperienza
bellissima per me.
Ma allo stesso tempo, mi creava
delle problemi con gli anziani americani con cui vivevo. Una cosa tipica di
qualsiasi adolescente che è cresciuto esclusivamente con una cultura per poi
venire sommerso in una nuova cultura, è che tendono a criticare la nuova cultura,
ed a paragonare le parti negative della nuova cultura con le parti positive
della loro cultura. Litigavo assai con dei missionari che si lamentavano di
come gli italiani non lavorano sodo come gli americani, o di quanto sporche
erano le strade. Io gli dicevo sempre tre cose:
Prima, gli dicevo che non possono
paragonare Palermo, Napoli, o qualsiasi altra città grande italiana con Provo,
Utah, o con Rexburg, Idaho, o un paesino piccolino americano. Gli dicevo che
sarebbe molto più giusto paragonarle a Chicago, Boston, Miami, o un’altra città
grande americana, dove la sporcizia è molto simile.
La seconda cosa che gli dicevo è che
furono stati chiamati ad amare, insegnare, e servire il popolo italiano. Gli
dicevo che è impossibile amare e servire ad una persona o ad un popolo se uno
sta sempre a criticarli. Bisogna fare come Cristo, ed accettarli ed amarli
anche con i loro “difetti”, che poi potevano non essere difetti veramente, solo
nei loro occhi giovanili e influenzati dai loro stessi paradigmi culturali.
L’ultima cosa che gli spiegavo è
esattamente il tema di questo discorso. Gli spiegavo tutto ciò che amo dell’Italia
e degli italiani, e perché. La cultura italiana è diversa dall’americana per
una ragione. Non è che non lavorano tante ore quanto gli americani solo per
pigrizia. Ma per gli italiani, vivere bene la vita vuol dire una cosa molto
diversa. Per loro, le due cose più importanti della vita sono la famiglia ed il
cibo. Mi sono innamorato dello stile di vita mediterraneo. Mi piace tantissimo
come, per un italiano, non c’è niente di più importante che pranzare insieme a
casa con la famiglia. Lasciano il lavoro ogni giorno, tutto chiude per tre ore
affinché possano avere un pranzo quotidiano di tre ore con la famiglia. I miei
colleghi non capivano il valore di quei pranzi e pause di lavoro, e
criticavano, dicendo che “se gli italiani lavorassero di più senza prendere una
pausa di tre ore, allora l’economia sarebbe meglio e sarebbero più ricchi.” La
cosa che loro percepivano come una debolezza della cultura, per me è una cosa
che il resto del mondo potrebbe imparare dagli italiani.
Gli italiani credono nel principio
della “bella vita.” Prendere la vita con calma, non essere troppo in fretta,
non vivere con troppo stress, prendere sempre il tempo per mangiare il cibo
buono e chiacchierare con la famiglia e gli amici. E’ una cultura estremamente
allocentrica. Mentre vivevo a Bari per il mio tirocinio, una delle cose più
sciocche che mi piaceva fare, perché mi portava tanta gioia, era di andare alla
piazza centrale di Triggiano nella sera e sedermi su una panchina. Lì, guardavo
i vecchietti che camminavano insieme e che chiacchieravano di tutto e di tutti
mentre giocavano a scopa. Guardavo le famiglie giovani che sono così rari negli
Stati Uniti fuori di Mormonlandia. Guardavo i ragazzi che giocavano a pallone
ogni sera, fuori in piazza, invece di essere chiusi in stanza sul computer
ventiquattro su ventiquattro come i ragazzi americani. L’Italia di oggi è come immagino
che erano l’Argentina o gli Stati Uniti una volta. Rei sicvt ervnt.
La conversazione profonda, il contatto
di occhi, la caldezza dell’amicizia, tutte cose che sono importanti ancora là.
Tenere una conversazione con un italiano risuona con la mia anima come qualcosa
di cui avevo bisogno, e di che non sapevo di aver bisogno finché non l’abbia
trovata.
Ecco perché sono così fiero del mio
sangue italiano.
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